Il Ponte - dicembre/2007

L’infedeltà e l’amore
di Umberto Berardo

Nelle relazioni interpersonali la definizione dei comportamenti presenta una gamma terminologica piuttosto vasta.
Nell’amicizia di solito parliamo di un amico vero, fidato, leale, attento.
Per i rapporti legati agl’impegni occupazionali ci esprimiamo chiamando un collega di lavoro impegnato, responsabile, legato all’azienda, serio, affidabile.
Sul piano religioso un credente è autentico, osservante, praticante.
Ovviamente di tali forme di aggettivazione usiamo i contrari quando vogliamo indicare connotazioni negative.
Come si vede quasi mai adoperiamo i termini fedele o infedele, che invece rientrano perfettamente nella caratterizzazione della condotta all’interno dei rapporti di coppia in un matrimonio e, da un po’ di tempo, anche in una convivenza, soprattutto quando questa dura nel tempo.
L’uso del linguaggio non crediamo sia casuale, evidentemente perché i concetti di fedeltà ed infedeltà sono legati, nel pensare comune, proprio alle relazioni tra i coniugi o i conviventi.
La violazione della fedeltà coniugale sicuramente nella storia si è sempre avuta e di tradimenti ne abbiamo conosciuti tanti, tra cui i più famosi rimangono forse quelli tra Elena e Paride, Lancillotto e Ginevra, Paolo e Francesca, Mussolini e Claretta e, recentemente, tra Carlo e Diana d’Inghilterra.
È un po’ di tempo che nei salotti di gossip e nei rotocalchi si affronta tale questione, lasciandola spesso dibattere da soggetti, la cui competenza al riguardo è pressoché nulla.
Recenti studi dello psicologo Luigi Baggio e del professore di psicologia e psichiatria medica Willy Pasini hanno tentato di analizzare il fenomeno dell’infedeltà matrimoniale cercando di coglierne i dati numerici, di capirne le ragioni, di studiarlo negli aspetti umani, di valutarne le conseguenze e d’interrogarsi sulla possibilità di evitarlo o almeno di ridurne gli esiti più drammatici.
Soprattutto l’ultima pubblicazione di Pasini dal titolo “Amori infedeli” è corredata da una casistica che, se aiuta a capire le manifestazioni e gli atteggiamenti più diffusi delle persone infedeli, ci sembra in ogni modo una successione di racconti che poco hanno a che fare con la normalità della vita d’individui comuni, ma che appaiono piuttosto legati all’espressione di patologie comportamentali.
Secondo i dati di taluni istituti di ricerca in Italia il 70% degli uomini ed il 64% delle donne tradirebbe il proprio partner.
Abbiamo usato il condizionale, perché nei numeri che emergono da tali tipi d’indagine è doveroso nutrire qualche dubbio sull’attendibilità delle risposte che gl’intervistati danno alle domande.
Non siamo comunque sorpresi sul dato generale che vede aumentare l’infedeltà coniugale a livello globale, ma soprattutto nella società occidentale.
Ciò che lascia riflettere, a dispetto della liberalizzazione dei costumi sessuali, è che l'infedeltà continui a essere uno dei maggiori motivi di sofferenza nella coppia, all’interno della quale purtroppo resistono radicati comportamenti d’ipocrisia che ci sembrano una grave mancanza di rispetto per l’altro.
Pure in piccole regioni come il Molise l’accrescimento dei tradimenti all’interno della coppia è notevole, anche se del fenomeno da noi manca uno studio analitico ed approfondito.
In passato l’infedeltà era in generale nascosta, mentre oggi in molti casi viene non solo dichiarata, ma anche rivendicata e spesso ostentata come esperienza alternativa o parallela.
Soprattutto i giovani vedrebbero ogni scelta, quindi anche quella sessuale, come provvisoria secondo una concezione valoriale abbastanza “liquida”, per usare una celebre espressione del filosofo Zygmunt Bauman. Dunque nulla di definitivo nelle scelte anche sul piano dell’innamoramento o del rapporto sessuale.
Molti non parlano neppure più di tradimento, ma semplicemente di esperienze plurali.
D’altronde studi di etologia e di antropologia confermerebbero che l’atteggiamento prevalente agl’inizi della civiltà e nelle diverse culture è quello della poligamia e che solo a partire da cinquemila anni fa si sarebbe giunti alla monogamia come una disposizione di carattere culturale.
Stando alle ricerche di psicologia si tradirebbe per l’esistenza di una nuova relazione sentimentale, per noia, per stanchezza, per desiderio di novità, per ripicca, per trasgressione, per rinforzare l’identità rispetto alla paura della vecchiaia. In una parola la causa dell’infedeltà sarebbe l’insoddisfazione coniugale.
A noi sembra che la radice essenziale della lontananza nel pianeta coppia l’abbia ben descritta la psicologa Rosella De Leonibus “ Com’è che si perde interesse ad una comunicazione più intima? Com’è che un giorno ci si accorge che la passione si è spenta?. Si fa presto a dare la colpa al tempo che passa, alla routine quotidiana, alla corsa contro l’orologio e l’agenda.
Non è la condivisione quotidiana la falla da cui scorre via la passione. È il distacco. È la presa di distanza dalle emozioni dell’altro, e poi, subito dopo, anche la presa di distanza dalle emozioni che l’altro mi suscita. E il muro invisibile comincia a crescere. Non comincia il distacco quando la comunicazione si appiattisce. È il vuoto di comunicazione che diventa esso stesso distacco. Ci deconnettiamo dal partner non quando c’è sul tavolo una protesta, un’accusa, una recriminazione; ma quando le parole e gli sguardi restano muti, quando nasce dentro di noi un disagio che resta all’interno”
I tradimenti possono essere di diverso tipo.
Si va dal tipo sentimentale a quello sessuale, passando addirittura per quelli mediatici via internet.
C’è chi per alcune forme ha usato l’aggettivo infame.
Negli Stati Uniti starebbe prendendo piede la coppia dalla “vita sessuale aperta” con la regola di lasciare al partner spazi per coltivare relazioni sentimentali complementari a quelle della coppia principale.
Nel 1968 l’adulterio ha smesso di essere un reato penalmente perseguibile e nel 1981 è stato abolito pure il delitto d’onore, anche se ancora oggi un comportamento infedele può essere alla base della richiesta di addebito in una causa di separazione ed incidere sulla regolazione dei rapporti tra coniugi separati specialmente per ciò che riguarda l’affidamento dei figli e gli accordi economici.
Una cosa è certa: l’adulterio costituisce un vero dramma per la coppia ed una sofferenza enorme per chi lo subisce, perché determina smisurati danni di carattere psicologico, economico, relazionale e sociale.
L’erotizzazione dell’informazione mediatica e della pubblicità sembra davvero aver posto il sesso come un totem isolato da qualsiasi altro aspetto umano nella relazione di coppia.
Questo spinge a pensare che la felicità sia nell’assoluta libertà di ricerca sessuale fatta con grande spregiudicatezza, magari nascondendo il tradimento per evitare la rottura della relazione principale.
A seguire soprattutto i programmi televisivi, la radio o la stragrande maggioranza dei siti internet si ha netta la sensazione che l’infedeltà non è più considerata un male, un peccato o un errore che dir si voglia.
Se però essa è vissuta da tanti come un fatto inaccettabile non solo per gelosia, ma perché considerata come un venir meno a regole fissate e condivise, se determina conseguenze catastrofiche e spesso atroci, vuol dire che è superficiale banalizzare la condotta di una persona che tradisce.
Non sappiamo se naturalmente, come affermano taluni studiosi, si tenda alla poligamia; se però nel corso della civiltà umana il mondo greco-romano e talune grandi religioni, tra cui quella cristiana, hanno sentito la necessità di portare l’umanità verso la monogamia, forse una qualche ragione etica e sociale in tale regola di vita l’avranno trovata.
Certo in passato ed ancora oggi le legislazioni hanno previsto purtroppo unicamente sanzioni per la violazione dei diritti del marito, dimenticando che il rispetto coniugale è reciproco.
Sapere poi che in taluni Paesi si possa punire ancora una donna per adulterio con la pena di morte è assolutamente disumano e quindi inaccettabile.
Se nel cinema, nei salotti televisivi o nelle fiction parliamo dell’infedeltà superficialmente o come un costume da esibire, è normale che il fenomeno abbia avuto la diffusione sopra descritta.
Noi siamo tra quelli convinti che in questo caso a prevalere sul bene di coppia sia purtroppo solo e soltanto l’edonismo individualistico incapace di maturare a responsabilità di un affetto profondo e duraturo.
Nelle famiglie, invece, il valore della fedeltà si discute ed anche molto, perché genitori e figli nell’attuale società non sentono più sicura l’unione nel matrimonio o nella convivenza di chi decide di vivere in coppia.
Nonostante i dati numerici che prima davamo sui tradimenti, i fautori della fedeltà sono in continuo aumento e, dal sociologo Francesco Alberoni all’analista Aldo Nauri al filosofo Alain Etchegoyen, sostengono con decisione che i patti su cui si fonda la coppia vanno rispettati. Tra l’altro essi aggiungono che tale valore sarà anche il frutto di una scelta culturale e volontaria, ma certamente, quando esiste ed è autentico, produce enormi vantaggi in una vita di coppia che in tal modo diventa originale e porta un tasso elevato di sicurezza e felicità.
L’essenza di un buon matrimonio deve prevedere a nostro avviso una sua moralità che va individuata in taluni principi fondamentali quali il rispetto reciproco, una profonda intimità fisica e spirituale, la sincerità, l’unicità del rapporto ed appunto la fedeltà non intesa come un obbligo, ma come una scelta volontaria, seriamente definita, capace di rendere stabile il sentimento dell’amore.
Tali dimensioni del rapporto di coppia non possono considerarsi degli assiomi, cioè certezze date o addirittura scontate, ma vanno stabilite, costruite e vissute continuamente, perché solo nella tensione costante di ricerca e, per chi crede, anche nella relazione di fede si possono raggiungere obiettivi così importanti.
Sicuramente l’eros, degradato a puro sesso e perciò diventato merce, come sostiene Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas Est, può portare una persona all’infedeltà con comportamenti che spesso diventano anche infantili.
È lo stesso pontefice a suggerirci la strada per evitare un attaccamento indeterminato al coniuge e portarci all’agape come ricerca del bene dell’amato e quindi capacità di rinuncia e di sacrificio.
“Fa parte degli sviluppi dell’amore verso livelli più alti che esso cerchi ora la definitività in un duplice senso: nel senso dell’esclusività - solo quest’unica persona – e nel senso del per sempre”.
Tali valori non possono considerarsi, come molti pretenderebbero, regole da imporre, ma scelte individuali eventualmente da proporre alla società come stili di vita.
Sono ovviamente principi che, se scelti consapevolmente e responsabilmente, daranno come frutto quello che molti chiamano il grande amore, che ci piace ritrovare entusiasticamente in tantissime coppie e che resta certamente un valore sicuro non solo per i singoli, ma per la famiglia e per l’intera società.
C’è stato un giorno della nostra vita in cui abbiamo capito quanto può essere saldo il legame tra due persone sposate.
Un signore piuttosto anziano portava su una carrozzella la moglie paralitica. Si è fermato ai giardini pubblici e si è seduto su una panchina di fronte alla consorte. Le ha sistemato il cappellino in testa perché il sole non le desse fastidio; poi l’ha baciata con dolcezza ed il loro volto si è aperto nel sorriso più tenero del mondo. Tra quelle due persone non c’era solo fedeltà, ma qualcosa più grande che la comprende e la presuppone: l’amore.
Sulla questione che abbiamo cercato di analizzare è spesso ricorrente la contrapposizione tra due tradizioni culturali: una illuminista e l’altra cattolica.
Ci rifiutiamo di accettare simili divisioni e semplicemente pensiamo che dialetticamente si confrontino due modi di pensare: l’uno favorevole a qualsiasi espressione della propria sessualità e l’altro convinto dell'indissolubilità del matrimonio e della fedeltà coniugale.
Sì, perché sappiamo per esperienza che come ci sono cattolici che vivono secondo il primo modo di pensare, così esistono anche tanti non credenti che scelgono la seconda categoria di valori come principi di scelta laica.
Troppe volte le “appartenenze” c’impediscono di vedere, apprezzare e condividere i valori proclamati e vissuti da altri.
Sarebbe bello se la riflessione prevalesse sempre sull’orgoglio o peggio sull’egoismo mascherato da pseudo-valori e cercassimo con serenità di definire principi e regole utili per il bene comune.
Questa pure ovviamente è solo una nostra umile, umilissima convinzione.


Umberto Berardo
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